Ideazione, drammaturgia e regia: Giandomenico Sale
performer: Alisia Ialicicco
voce fuori campo: Giandomenico Sale
testi: Giuseppe Cestari, Vincenzo Cuoco,
Emanuele De Deo, Giuseppe Logoteta,
Mario Pagano, Atto Vannucci
coreografie: Alisia Ialicicco|Gisela Fantacuzzi
una produzione Frentania Teatri e Gruppo e-Motion
durata 45 minuti
NOTE DI REGIA
La Rivoluzione Napoletana è nata dalle menti degli intellettuali del regno di Napoli che spinti dai pensieri della Rivoluzione Francese sognavano un territorio libero dalle oppressioni verso il popolo e libero dal giogo dei potenti e del clero. Una rivoluzione per il popolo ma non compresa dal popolo. Un popolo arcaicamente legato al mondo religioso che deve confrontarsi con pensieri filosofici non comprensibili alle loro orecchie. Un mondo fatto di servilismo e ritualità catapultato in un mondo di ideali. Questo è il fulcro della mia ricerca: il popolo nella rivoluzione napoletana e il ruolo della religione e delle credenze popolari che, incautamente, i giacobini hanno cercato di ostracizzare. Il popolo oltre le divisioni giacobine e sanfediste. Un popolo che non è in grado di comprendere quanto si sta facendo per loro, ideali che non hanno attecchito nelle menti popolane perché, come scrive Vincenzo Cuoco: “il popolo non è obbligato a sapere la storia romana per conoscere la felicità” perché “parlando agli uomini, ci scordiamo di tutto ciò che è umano; quando volendo insegnare la virtù, non sappiamo farla amare; quando seguendo le nostre idee, vogliamo rovesciare l’ordine della natura…”.
E questo rovesciamento improvviso e non compreso sono alla base della mancata empatia tra popolo e giacobini, al punto tale che quando San Gennaro ha fatto il miracolo del sangue, chiesto dai francesi per dimostrare che anche loro rispettano i santi, i napoletani hanno rinnegato San Gennaro proclamando loro patrono Sant’Antonio.
Questa forma religiosa arcaica e intrisa di paganesimo, si scontrano con la ragione e le ideologie liberali e repubblicane. In scena un mescolarsi di simbologie e rituali popolari che si incontrano e scontrano con la simbologia e i pensieri giacobini. Una donna in scena che è Popolana e Repubblica, che attraverso la sua gestualità parla di popolarità, di devozione, di ideologia, di rivoluzione, di odio e di amore verso il nuovo ordine delle cose. Un corpo che fa suo lo spirito della rivoluzione e lo spirito del popolo, che costruisce e distrugge i simboli che a questi mondi appartengono. Passano su un video e ascoltiamo da una voce fuori campo, quelli che sono gli ideali per cui sono stati giustiziati tramite impiccagione le più grandi dell’epoca. Il cappio nella piazza del marcato di Napoli è il simbolo del fallimento di una rivoluzione che, senza il sostegno popolare, non ha potuto portare a termine il suo percorso di modernizzazione di un territorio e di un popolo. Il Popolo non ha saputo intendere, consapevoli che “tutto si può fare, la difficoltà è solo nel modo. Noi possiamo giungere col tempo a quelle idee… Tutto il segreto consiste in sapere donde si debba incominciare”.