regia e drammaturgia di Giandomenico Sale
supervisione coreografica di Richard Move
con: Javier Lecaros, Antonio Rivas e Delfina Torres
e con: Jaime Hanson
Suono di Federico Dal Pozzo
Scenografia Juan Carlos Morales
costumi: Maurizio Modica, Room 19.21 Milano
direttore della fotografia del video: Fabio Manso
produttore esecutivo: Romyna Guadalupe Gomez
produzione: Frentania Teatri APS, Gruppo e-Motion con il sostegno del MIC, Barnax Producciòn
in collaborazione con l’Istituto Italiano di Cultura di Santiago del Cile
SINOSSI BREVE
Un viaggio nella ritualità del popolo verso la propria divinità iconica, che parte dalle ritualità pagane, vede la sua trasformazione in divinità cristiana, che si forma tra dogmi, simbologie e fede popolare. Una descrizione cruda di un mondo legato alla fede che è arcaico e contemporaneo. L’icona è un veicolo dell’essenza divina, perché è “un organismo vivente, un luogo di incontro tra il creatore e gli uomini”. Ed è questo luogo d’incontro del credente, che Giandomenico Sale e Richard Move intendono esplorare attraverso gli artisti performanti, esprimendo la fede fisica dei fedeli all’interno di un’opera teatrale-coreografica non letterale e non lineare.
SINOSSI
Il rapporto dell’umanità con le iconografie ha origini ancestrali. Da sempre necessitiamo di una divinità ultraterrena su cui scaricare frustrazioni, speranze, dubbi, richieste. Questo rapporto uomo – divinità non è mai cessato nel corso dei millenni ma si è andato semplicemente evolvendo, modificando.
La ricerca artistica del regista Giandomenico Sale è da sempre legata allo studio antropologico delle tradizioni popolari del sud Italia da cui trae ispirazione nel reinterpretarle, nei suoi lavori, mescolando e contaminando i linguaggi tradizionali con quelli contemporanei in una sperimentazione multidisciplinare di teatro – danza. Al centro della produzione, quindi, c’è una indagine profonda sulle ritualità dei fedeli che venerano un’Icona.
Un chiaro esempio di evoluzione del rapporto tra popolo e divinità, che ha portato il regista prima, e, di conseguenza il coreografo Move, ad investigare sulle origini della devozione nei confronti di una icona, è stato il santuario di Montevergine.
Una leggenda napoletana narra che le madonne erano sette, tutte sorelle tra loro. Sette icone venerate in sette santuari. Di queste sorelle sei erano belle, mentre una era brutta. Per le continue vessazioni quest’ultima fugge su di un alto monte dove nasce Montevergine. Questa madonna, nera e straniera, viene chiamata dal popolo Mamma Schiavona, la cui icona diventa meta di pellegrinaggio di massa ma con una particolarità, meta di pellegrinaggio della comunità LGBTQI+.
Perché questa particolare specificità per una icona cristiana? Il popolo, nella sua semplicità, lega tutto eventi miracolosi, la verità è semplicemente l’evoluzione di una tradizione e ritualità pagana legata a quei luoghi: il santuario sorge su di un tempio pagano in onore della dea Cibele, Grande Madre degli Dei dell’Ida. Ed è proprio da qui che parte il lavoro di Iconica.
Il focus di Iconica si apre sui misteri di Cibele e Attis. Il mito di queste divinità racconta che Attis, evirandosi, aveva sigillato la sua appartenenza alla dea Cibele. Questo gesto diventò l’evento centrale degli adepti ai misteri, dove il sacrificio estremo era proprio l’evirazione in onore della Grande Madre. La devozione degli Eunuchi verso la dea Cibele evolve, con l’avvento del cristianesimo, nella devozione dei “Femminielli” (nome con cui vengono chiamati nel napoletano le transessuali e i travestiti) verso la Madonna. Una icona pagana, quindi, che viene annientata dalla nuova religione ma che per il popolo semplicemente si trasforma in una nuova icona che è però la stessa Madre a cui donarsi.
Dalle ceneri di una icona pagana alla nascita della Icona Cristiana. Dalla venerazione per icone pagane alla venerazione per icone cristiane. Un passaggio che è avvenuto un po’ ovunque nel mondo cristiano, in qualsiasi parte geografica e, mentre per il popolo era una evoluzione semplice e lineare: alla Icona di una Dea si sovrappone quella della Vergine, non sempre è stato così per chi era ed è a capo della religione. Cercare di giustificare in qualche modo qualcosa di non spiegabile scientificamente o razionalmente spesso veniva risolto attraverso i dogmi. Intorno all’Icona mariana l’evoluzione è avvenuta anche attraverso lotte interne alla Chiesa, come nel caso dell’Immacolata Concezione: solo nel 1854, con la bolla papale “Ineffabilis Deus”, si è ufficializzato il dogma secondo cui la Vergine Maria nacque pura, mai toccata dal peccato originale.
Attraverso la fisicità della performer|Icona, si vuole rappresentare questo processo che la vede essere sì Icona, ma anche dogma. Ed in questo percorso di venerabilità la vediamo arricchirsi di tutta la simbologia che nel corso dei secoli l’ha resa divina agli occhi del popolo.
Da qui si approfondisce grazie alle testimonianze narrate ne il trionfo della morte di Gabriele d’Annunzio, una descrizione realistica e straziante di un meridione italiano arcaico, primitivo e matriarcale, fatto di devozione ostinata, processioni e antichi rituali. Attraverso la voce di un attore, che è in scena come narratore degli eventi, le immagini video, i movimenti e le voci dei danzatori|devoti, scopriamo fino a dove l’uomo può arrivare per avere un contatto con una divinità. E vediamo come rituali che in alcune zone del mondo sono sorpassate, continuano ad esistere, in altre zone del mondo seguendo il cammino evolutivo del popolo.
Questo pellegrinare di “Iconica” nella devozione popolare, che parte da un piccolo paese dell’Italia meridionale, riconduce i danzatori devoti davanti alla loro divinità che non è più la dea Cibele ma la Vergine Maria, davanti al quale il loro rituale devozionale è evoluto come è evoluta la loro Icona.
Obiettivo finale è quello di evocare visceralmente ed emotivamente l’essenza delle sensazioni cinetiche incarnate da questi devoti. Obiettivo è anche trasmettere al pubblico un tema più ampio; il metodo e il significato di sottomettere totalmente il proprio corpo ai vocabolari ritualistici della fede in cambio di una purificazione dello spirito o di una soluzione ad un problema. Che l’essere umano ha da sempre avuto la necessità di creare un rapporto spirituale con l’invisibile che diventa visibile attraverso le icone, siano esse pagane o cristiane. E obiettivo è dimostrare che tutti i popoli e le religioni sono uguali nella sostanza. Che unire e contaminare le tradizioni di un popolo del meridione d’Italia con le tradizioni di un popolo cileno dimostrano che siamo molto più simili di quanto possiamo immaginare, che siamo frutto di una commistione di popoli e che le barriere culturali e razziali sono solo frutto della non conoscenza.
Il filosofo religioso Ivan Kireevsky disse che l’icona è un veicolo dell’essenza divina, perché è “un organismo vivente, un luogo di incontro tra il creatore e gli uomini”. Ed è questo luogo d’incontro del credente che, Giandomenico Sale e Richard Move, intendono esplorare attraverso gli artisti performanti. Esprimere la fede fisica dei fedeli all’interno di un’opera teatrale-coreografica, non letterale e non lineare, combinando interpretazioni tradizionali e contemporanee di elementi coreografici, teatrali, musicali, letterali.
Riuscire, quindi, attraverso una sorta di astrazione sacra, una trasmissione circolare dell’energia: dall’Icona, attraverso il corpo dei performer, passando per gli spettatori e tornando ad una icona nuova ma sempre uguale. In una ciclicità continua ed eterna di devozione verso i simboli iconografici.